What they say about him

Sulle decorazioni nel Palazzo del Governo di Rieti:


[...] Arduino Angelucci, anch’egli artista reatino, sta eseguendo, e presto porterà a termine, la decorazione completa della prima sala d’aspetto negli uffici sottostanti della Provincia.
Il lavoro è condotto con una sensibilità e con una coscienza artistica non comune che rivelano l’intelligenza, il valore, la prontezza di concezione e l’equilibrio del giovane artista reatino.

- ’Francesco

Sugli affreschi dell’Aula Magna dell’Universita’ di Palermo cosi’ si esprimeva l’allora direttore dell’Istituto delle Belle Arti di Roma:


[...] questo grande affresco [...] iniziato molti mesi fa da questo maestro dell’affresco, il quale con paziente amorevolezza ha curato ogni piccolo spazio destinato a quest’opera, nulla tralasciando
perché tutto l’insieme (spazio, volume, accordi cromatici, armonie di ritmi) risultasse coerente e logico, è un documento vivo nella storia degli affreschi moderni.
La coerenza si nota e s’impone e nel nostro caso balza evidente giacché Angelucci è l’affreschista della precisione, dell’equilibrio, della giustezza dei toni, i quali sembrano come pesati in una sensibile bilancia. Tali appaiono al nostro sguardo e tali sono realmente nella scala dei valori plastici.
Il particolare che il nostro conduce con piacevole accorgimento, senza cadere nel lezioso o nell’accademico è uno dei meriti che si aggiunge a molti altri per cui l’opera appare legata e intensamente nutrita da un sentimento personalissimo che non ammette transazioni o rettifiche. Quando, allora, ci accorgemmo che nell’Angelucci c’era la tempra dell’affreschista classico, il quale odia la fretta e lo strafare affaristico, siamo stati contenti della scelta garantendo così la buona riuscita dell’opera nella nostra Università.
Il tema imposto all’artista era arduo e difficile. Si doveva conciliare l’atmosfera storica del tempo con le esigenze pittoriche, le quali sono quelle che maggiormente debbono far preoccupare un pittore perché si può essere fedeli alla storia quanto si voglia a discapito della pittura per cadere nell’illustrativo, pur di appagare lo storico o lo spulciatore di date, ma conciliare la pittura con la storia nella maniera degna è il fine veramente superiore.
E il caso Angelucci è proprio questo.
L’affresco che si svolge a nastro sulla grande volta, illustra artisti, poeti, scienziati alla corte di Federico e gli episodi, le varie composizioni, i vari raggruppamenti delle figure, i simboli, gli elementi, concorrono tutti all’unità di concetto. Ciò che in primo luogo si nota in questo lavoro è l’atmosfera gradevolissima che vi circola sì da farlo apparire in una veste di dignitosa eleganza che attrae il riguardante e lo lega alla visione.
E questo segreto è una parte del successo dell’opera.
Ciò che resta adesso da risolvere è l’armonia della sala in cui, come molti ricorderanno, hanno lavorato altri artisti i quali hanno creduto, ognuno, di fare a meno dell’unità, cercando di far emergere la propria personalità è venuto fuori da questo discordante lavoro, un qualche cosa che sa di confusionario e che oggi, al termine dell’affresco di Angelucci, ci lascia perplessi e ci fa molto pensare.
Ma intanto occorre mettere un riparo, e quale?
La critica ha il compito di far rilevare non solo i lati manchevoli, ma soprattutto di portare argomenti ben vagliati i quali dovranno avere valore di suggerimenti, cioè contribuire a far ben completare quest’opera. E noi abbiamo in merito qualche idea, questa:
poiché l’opero di Angelucci è quella che maggiormente s’impone ed emerge, sarebbe opportuno servirsi dello stesso artista, che ha dato così bella prova, per il completamento e per armonizzare tutto l’insieme dell’Aula Magna. Legare cioè armonicamente avendo sempre come riferimento la volta. Sagome e riquadri dovrebbero armonizzarsi pittoricamente con la volta e, per quanto concerne i riquadri, si potrebbero completare illustrandoli con motivi e figurazioni pittoricamente monocromi riferentisi agli stessi medaglioni sottostanti.
Si eviterebbe così, in parte, quella evidente disarmonia che oggi si nota tra la volta e le pareri. E di questo dovranno preoccuparsi coloro che hanno la responsabilità dell’Aula la quale è stata fatta per riunire nel più importante luogo degli studi della città, la parte migliore della intelligenza.
Ormai che il grosso del lavoro è stato fatto, il Magnifico Rettore dell’Università potrà senz’altro portare a compimento l’opera.
Per oggi non ci rimane che invitare i palermitani colti a recarsi all’Università per ammirare l’opera d’arte dell’affreschista Arduino Angelucci.

- Pippo Rizzo (pittore e direttore dell'Accademia delle Belle Arti di Roma negli anni 50-60) - Giugno 1938

Stanno per ultimarsi gli affreschi del pittore Angelucci … e fra giorni si potrà ammirare la grandiosa opera di questo artista, destinata a rimanere ferma nella storia dell’arte.
Tale appare fin d’oggi l’opera di questo autentico affreschista il quale da mesi e mesi lavora con amorevolezza e fede sulla volta dell’aula magna sviluppando e svolgendo come un nastro, il tema bandito e assegnato a suo tempo: “Poeti,artisti,scienziati alla corte di Federicoâ€.
L’opera di Angelucci s’impone fra tutte per la sobria atmosfera che circola in questa volta, per l’accurata esecuzione, per la serietà con cui è stata eseguita e trova un contrasto assai evidente con gli affreschi sottostante da far preoccupare il progettista dell’aula al quale è affidato il compito di risolvere l’inconveniente di concerto con il Magnifico Rettore dell’ Università.
Ma resta ancora un altro quesito da risolvere: il completamento della volta la quale così come si presenta oggi con il grande affresco centrale dell’Angelucci, appare incompleta ed ancora più discordante col resto. Sicché questo grande affresco si dovrebbe legare per rimediare se non altro all’inconveniente della disarmonia prodotta fra i vari affreschi dei vari artisti, affidando allo stesso Angelucci il completamento dell’opera, sicuri della buona riuscita.
E poiché siamo nel campo dei progetti noi crediamo opportuno segnalare a chi di ragione la necessità di far decorare allo stesso artista della volta, quei riquadri che sono intorno al grande affresco illustrando altri temi che riguardano la Sicilia ed adoperare un tipo monocromo di pittura che non disturbi quella a tutto effetto eseguita dall’Angelucci per intonare tutto in rapporto alla volta.

- ”Pippo

Dalle righe del “Giornale di Sicilia” cosi’ scriveva Maria Accascina:


A guardare intorno per la Sicilia dopo gli affreschi di Giuseppe Sciuti e di Ettore De Maria Bergier, non si può indicare opera che per grandiosità di composizione, per sintesi strettissima tra valori di forma, di colore, di contenuto, sia da eguagliare a questa decorazione del soffitto dell’Aula Magna della R. Università di Palermo, compita testè dal pittore Angelucci da Rieti. Sorpresa oltremodo gradita al ritorno dalla Biennale di Venezia dove tutti abbiamo assistito al naufragio dell’affresco, anche se affidato a nomi ritenuti famosi, naufragio che poteva far trarre querele sul la vitalità dell’arte moderna se, oltre Venezia e a Venezia stessa, non ci fosse ben altro.
E se la critica è stata onestissima a segnalare la deficienza, la miseria spirituale e tecnica di molti fra quegli affreschi, e’ pur giusto che essa segnali opere per serietà e nobiltà degne della tradizione e dell’arte di oggi.
La grande tradizione romana, quella plastica costruttiva schiettamente nazionale e non quella illusoria fantastica di derivazione ellenistica è stata presente agli occhi e al cuore del pittore Angelucci che ne ha derivato due elementi indispensabili ed eterni: la solidità plastica suggerita dalla perfetta conoscenza del disegno e del valore delle ombre, l’illusorietà spaziale suggerita da una profonda e conclusiva conoscenza dell’architettura. Conquistata risolutamente la tecnica, egli ha potuto con mezzi adatti esprimere idee e pensieri – il che è stato sempre della pittura italiana da Giotto a Masaccio a Piero – ed ha potuto aderire al tema con una dottrina che non opprime mai la libertà fantastica. Vi è rappresentata nell’affresco la raccolta degli spiriti magni intorno a Federico, protettore di tutte le scienze e rievocatore di classici spiriti: così che è giusto che il pittore gli ponga dietro, proprio nell’apice della composizione, un tempio greco e veda il genio italico lanciare i primi cavalli simboleggianti i segni del rinascimento su per il cielo mentre la leonessa, simbolo di regalità e di potenza, si lascia dominare ai suoi piedi; vi è rappresentata la consegna dell’Ateneo al popolo napolitano; poi l’arte perfetta per eccellenza, cioè l’architettura
e, in ultimo, l’agricoltura, tutto quanto insomma rese il regno di Federico II il più totalitario preludio del rinascimento italiano.
Le figure e le cose si dispongono negli spazi con ordine naturale ritmico e classico; entra l’elemento architettonico nella composizione nel momento più adatto e nella misura più consona; qui una transenna che chiude un recinto e equilibra nel modo perfetto la distribuzione degli elementi sopra un cerchio ideale che commenta geometricamente l’idea del “Cenacolo della Corte fridericiana” là è una colonna istoriata che serve a graduare verticalmente gli spazi, là sono protagonisti pilastri ed arcate, archi e ponti con una ritmica spaziale di eccezione, là in ultimo mura ed alberi, buoi ed aratri affondano nella terra in serena virgiliana composizione. Dall’un punto all’altro dell’affresco l’occhio è guidato in un modo del tutto moderno rispetto alle recenzioni geometriche ottocentesche: con suggerimenti di vie, con gradinate che sprofondano, con terriccio che si eleva a collina, con balzi e rupi, senza smarrimenti e dispersioni, senza arrestamenti, in un mondo cromatico sereno, piacevole, dove una persistente musicalissima variazione tonale non alza mai la voce oltre il disegno ed oltre il volume contribuendo con il suo classico ritmo della calma serenità in cui vivono uomini e cose, serenità che par traduca nel modo pittorico più espressivo la nobiltà dell’epoca del grande Federico. In ogni gesto le figure riflettono questa disciplina e dignitosa compostezza, in chi medita sulle carte, in chi offre i rotuli, in chi ascolta, in chi porta sulle spalle il suo peso, in chi esorta alla fatica dell’arratro: tutti i gesti riflettono la nobiltà dei volti uno per uno studiati come avrebbe fatto un bronziere romano nella forma traducendo il carattere ed il pensiero. Rare volte, ripetiamo, fantasia e ragione, tecnica moderna ed antica si sono equilibrate in opera che in eguale modo onori Palermo e l’Italia.
L’artista che l’ha creata, è partito ieri, tutto solo, come solo è rimasto per otto e più mesi in alto sul palco, a disegnare, a colorare, cuore a cuore con le immagini dei grandi spiriti del passato. E’ scarsamente noto al pubblico delle mostre, non è stato invitato a Venezia, non è stato esaltato dai critici di occasione, ma l’opara è là e parla con una voce nobile ed alta che più oltre al tempo resiste.

- ”da

Parlando sempre dell’opera palermitana:


[...] Ha ripreso i motivi secolari della pittura italiana, dipingendo grandi decorazioni con la stessa ispirazione dei suoi illustri predecessori[...]. La sua opera è penetrata da una cultura libera, da una sete di bellezza, di lavoro, di sapere che lo pongono tra gli umanisti antichi non per evoluzione del secolo, ma per la scomparsa di tali spiriti [...].L’opera di Arduino Angelucci ci emoziona veramente per la sua potenza[...]. Egli svolge una composizione armonica che rimanda alla musica eterna. Le sue sono composizioni cicliche di portata universale[...]. Ben inteso, non vi rappresenta la frenesia del nostro tempo, non è all’avanguardia della pittura ufficiale: egli unisce la fantasia alla ragione e il pensiero al carattere, allo studio. Ma è e resta tra i geni più insigni e più nobili di questa Italia della pittura.

- ”C.

[...] Così ho conosciuto Angelucci nelle lunghe chiacchierate e nelle soste furtive quand’egli ti ferma per parlarti della divina grazia che trova nella forza di Donatello o del movimento di Verrocchio, di Jacopo della Quercia e dell’ampolloso Bernini come se nel lungo tratto fatto lentamente a piedi, da solo egli fosse stato tra loro a discutere ed ora senta il bisogno di comunicarlo a te che sei amico, com’egli li ha visti e sentiti questi grandi.
E quando ho visto la sua opera, questo grande affresco, m’è sembrato di trovarvi ad ogni passo l’uomo e il pittore in unica vita d’artista.
Appare evidente dalla unità di composizione personalissima, dal suo stile, dalla plastica costruttiva e dall’armonia cromatica di tutte le scene fuse come in un’atmosfera di sogno che ti dà il senso del ricordo e ti trasporta oltre i sei secoli alla corte di questo imperatore mecenate,
artista, battagliero, vincitore e vinto, ma sempre circondato dagli ingegni più vivi e la sua figura troneggia nella prima scena composta e serena, mentre egli si compiace di lettere e d’arte nella fiorente lingua italiana o discute “de arte venandi cum avibus†o s’attarda cosciente nelle norme legali per dare al suo regno un nuovo codice ed una nuova costituzione, e partecipa a tutte le scene dove giuristi, matematici, architetti, poeti, discutono, pensano, creano.
Tutto qui è studiato con calma e sapienza: e la misura del disegno corretto e deciso e l’intensità del colore molteplice ma unico nell’insieme, di quell’unicità che ti genera l’atmosfera.
Ed in tutto tu senti l’atmosfera che circola fra i piedi dei focosi cavalli in allegoria del Rinascimento, dietro il corpo di Federico a ricordo delle antiche civiltà, in mezzo alla folla che ascolta, lui presente, e nelle forme architettoniche che sorgono maestose dal lavoro febbrile e nella spaziosa campagna divelta dai buoi.
Non un punto solo che ti distragga: lo sguardo scorre da una scena all’altra con interesse e s’attarda gustando e ricerca e non s’acqueta e non si stanca chè tutto è fuso, tutto è continuo, tutto è il frutto di un sol cuore, di una sola volontà , tutto è vita che ti prende e feconda la mente, del pensiero, della storia che qui si tratteggia.
Egli che si accosta quasi con tremito all’arte dei grandi, che ammira la verità di Fidia e di Prassitele e la staticità delle figure bizantine come il movimento di quelle barocche e ne parla con devozione e rispetto come compenetrato dal loro stesso tormento e ci vive assieme tra l’uno e l’altro distanti di secoli, è qui in questo dipinto tutto se stesso: personalità non infiacchita dallo studio, ma ringiovanita dal sapere, non avvilita dalla fama dei grandi che dura nei secoli, ma spinta dal loro esempio verso la libertà, evolvendosi con ritmo crescente nel superare se stesso.
La pittura di Angelucci ha carattere romano – mediterraneo così com’è lui, temprato e gagliardo, semplice e modesto, sognatore e realista [...] egli studia e lavora onestamente; lavora, produce e si evolve e sorride alla faciloneria pittorica, ma si cruccia dinanzi alla sua pittura se questa non esprime con forma e colore tutto il tormento che l’ha fatto sostare lunghe notti insonni lassù a tu per tu con tutti quelli che egli va creando perché dicano quello ch’egli vuole, quello ch’egli sente in questa sua immensa anima di mediterraneo.
E questa sua volontà impone alle sue figure nella caratteristica espressiva dei volti, nella misura dei gesti, nella compostezza costruttiva; e costruisce sì che tu senti il volume dei muscoli pulsanti all’afflusso del sangue, e la presenza del corpo sotto i panneggi ritmati per gravità con sapienza di stile. Pare che egli nel disegnare con cura e pazienza, abbia tenuto in mente le parole di Michelangelo: “Il disegno è la fonte, anzi il corpo della pittura, della scultura, dell’architettura, e di tutti gli altri modi dell’arte [...] il mio parere è questo: chi sa ben disegnare anche un solo piede una mano od un collo, saprà dipingere tutte le cose del mondoâ€.

- Pietro Lisanti Callari

[...] E’ innegabile che il secolo scorso abbia curato poco di portare innanzi il valore e la funzione della pittura murale. Giovani animosi vi lavorano invece oggi a ricondurre questa nobilissima e difficilissima forma d’arte allo spirito che ebbe in tutti i secoli fino al sec. XVIII. S i preoccuparono i nostri nonni e ci preoccupammo sino a ieri anche noi che la pittura murale fosse soltanto decorativa mentre la sua prima fatica è quella di essere costruttiva ed architettonica .… Ecco perché vorremmo che la commissione non si lasciasse tanto trasportare da quei bozzetti che a prima vista sembrano sì piacevoli ed invece sono pitture da cavalletto …. Pittura e pittori bisogna scegliere qui, che diano affidamento per la loro solidità di polsi più che per la piacevolezza delle loro composizioni.
Entriamo in argomento: passiamo cioè in rassegna i bozzetti, tutti contrassegnati da un motto.
[...] Il bozzetto “Adriana” è certamente tra i migliori e di tutti il più moderno. Si tratta di un aristocratico del colore e del disegno, di un valido costruttore di figure e di cose, ma che forse non è venuto sul posto a vedere dove dovevano andare i suoi freschi. Altrimenti avrebbe studiato meglio le proporzioni e le sue figure disegnate tanto bene non sarebbero state concepite così piccole. Né Federico e la gente dei tempi suoi poteva vestir così. Noi non chiediamo una pedanteria ottocentista,ma vogliamo sempre credere che il medioevo vada rappresentato con quel vestiario e con quell’architettura che aveva; oppure sotto una forma più strettamente simbolica senza vestiario alcuno. [...]

- ”Olindo

(Palermo) nel più giovane dei tre reatini, Arduino Angelucci, si riscontra una perfetta conoscenza degli spazi e delle architetture. Vige così nelle sue opere una rigorosa compostezza e solidità plastica, dovuta agli insegnamenti dei grandi maestri del ‘300 e‘400 italiano; indagando meticolosamente l’arte del tempo passato, integrandola perfettamente con le esigenze dell’arte contemporanea [...] egli risolve il problema dell’equilibrio tra forma e contenuto,tra intelligenza ed immagine [...]. Le sue composizioni studiate ed equilibratissime fanno rilevare lo studio approfondito rivolto ai grandi maestri dell’antichità dai quali ebbe un’eredità profonda [...] (Nell’affresco di Palermo) le sue immagini, pur mantenendo una nobiltà monumentale, non perdono l’eleganza e la semplicità, caratterizzate da un’invidiabile pulizia della forma; tutto è immerso in una dimensione che conduce l’osservatore a contemplare ed ammirare [...]. Le tonalità cromatiche creano un’atmosfera di serenità e pacatezza, contribuendo così all’esaltazione di quest’opera.

- ”Alessia

[...] L’ Angelucci [...] si è preoccupato di dare al tema una completa unità. La composizione [...] salendo quasi attraverso la spirale di una colonna, prende ingegnosamente e fantasticamente partito dai ripiani aerei su cui poggiano le masse e i personaggi chiamati a render viva la figurazione pittorica.
[...] Or chi esamini il bozzetto dal basso in alto vedrà una volta di più come tutto sia concatenato nel pensiero; tutto direttamente ordinato a salire verso l’Imperatore, secondo la tradizione del Medio Evo, padrone del mondo, fonte della legge, incarnazione del diritto e della giustizia.
Alla base della composizione è l’agricoltura [...]. Dall’agricoltura protetta [...] la casa,il borgo, la città turrita e di qui tutte quante le arti, impersonate nell’arte base, l’architettura, simboleggiata da un cantiere fervente del lavoro di una costruzione in pieno sviluppo, a cui reca ordine e luce un architetto [...].
Ma né l’agricoltura è destinata a prosperità, né i borghi, né le città possono attingere gli alti fastigi della civiltà e mantenervisi, ove manchi la cultura che disciplina gli ingegni [...]. Di qui la creazione, da parte di Federico, dell’Università di Napoli [...] che secondo il suo programma [...] doveva assicurare la vittoria della civiltà latina sul germanesimo. L’artista coglie l’episodio della consegna dell’Ateneo al popolo napoletano tra l’accolta dei professori [...]. Infine la corte in un ambiente tutto parnassiano [...]. Tale è lo sviluppo logicamente equilibrato dell’opera a cui tiene dietro per la lucidità del pensiero la lucidità dell’espressione pittorica. Un vero equilibrio di linee, di volume, di colore: una vera sinfonia di accordi nell’espressione dei volti, negli atteggiamenti delle persone, nel movimento delle masse. Il lavoro di Angelucci onora l’arte e la patria e rivela nell’autore una personalità artistica di prim’ordine [...]. La sua è un’arte che senza trascurare la tradizione classica attraverso i secoli, non sdegna il progresso moderno laddove è più logico ed interprete più acuto delle forme e dell’anima umana.

- ”Publio

Sugli affreschi della Cattedrale di Rapallo:


[...] Contemporaneamente alle decorazioni di edifici pubblici l’artista nel 1937 aveva manifestato il suo eclettismo anche nel genere sacro con la decorazione della Cappella dedicata all’Annunciazione di Maria S.S. nel Duomo di Rapallo. La Basilica nel primo ventennio del ‘900 aveva subito notevoli modifiche; secondo il nuovo progetto, la parte già esistente fu saldata a quella nuova grazie all’acquisizione di uno spazio oltre l’abside e la monumentale cupola.
La cappella in questione dunque fa parte dell’ampliamento della Basilica ed è situata tra le due cappelle più grandi adiacenti al presbiterio.
Il pittore vi narra alcuni episodi della nascita di Cristo: nella lunetta,su uno sfondo architettonico e paesaggistico è descritta la scena dell’Annunciazione. Le figure si impongono nell’ambiente attraverso la loro solida strutturazione e con l’incisività dei gesti l’artista sembra rimeditare la lezione di Giotto della Cappella degli Scrovegni.
Nella volta sono raffigurati da un lato la Visita a S. Elisabetta e sul lato opposto il Viaggio verso Betlemme. Al centro due angeli annunciano le figure del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo: la scena narra il sacrificio di Cristo secondo quanto si legge nelle epigrafi dei cartigli.
Il ciclo creativo, sotto l’insegna di un mitico realismo sembra scaturire dalla meditazione della Cappella Brancacci nella Chiesa del Carmine a Firenze.
[...] La decorazione segna il culmine dell’attività giovanile dell’artista.

- Roberta Giardi - dalla tesi di laurea in Lettere: "Arduino Angelucci (Rieti 1901-1981) - Pittore e decoratore" - Roma 1999

La cappella venne affrescata dal prof. Arduino Angelucci di Rieti nel maggio del 1937, come dono del vescovo, mons. Cesare Boccoleri, alla sua chiesa.
L’artista interpreta con plasticità il mistero salvifico dell’ incarnazione di Cristo, accompagnandolo con scene del Vangelo legate a Maria, di efficace essenzialità[...].

- Pier Luigi Benatti - da "La basilica dei SS. Gervasio e Protasio di Rapallo" – Rapallo 1994

Entro in una grande sala: tubi innocenti intorno alle pareti e una impalcatura in alto mi chiudono la visuale della volta sulla quale un artista sta ultimando le sue tempere. Mi avvicino dopo essermi arrampicato su una scala a pioli, e mi trovo davanti un uomo che gli anni non sono ancora riusciti a segnare forse per la giovinezza di spirito che ogni grande artista porta sempre dentro di sé. Inizio il mio colloquio con lui e mi accorgo che dietro la sua gentilezza e al di là del desiderio di ritornare coi ricordi indietro negli anni, si nasconde una modestia tipicamente francescana, che vorrebbe quasi far ignorare al grande pubblico quei lavori che pure sono serviti a richiamare su di lui i giudizi favorevoli dei critici d’arte e della cronaca. E’ così che vengo a conoscenza di lavori in mosaico, di affreschi, di pastelli, di decorazioni, di ritratti, di tempere, di paesaggi, di bozzetti per vetrate. [...]
Tra le tante opere che pervengono alla mia conoscenza in questo amichevole colloquio svoltosi tra barattoli di colori e pennelli, tra linee decorative e affreschi quasi terminati, l’artista sembra soffermarsi con me su un aspetto particolare della sua pittura, aspetto che è forse il meno noto alla critica, ma in cui egli ha voluto trasfondere, oltre il linguaggio artistico, la espressione di un sentimento religioso che sembra sprizzare vivo dalle figure non solo di primo piano, ma anche da quelle che sembrerebbe debbano far parte di un riempitivo della scena.
Ricorderò qui soltanto gli affreschi della volta della Chiesa Matrice di Rapallo con quattro meravigliose raffigurazioni: La Trinità, L’Annunciazione, La Visitazione, Il Viaggio a Betlemme, in cui si ritrovano le linee classiche del passato rivissuto, però, con colori ed espressioni nuove, e ricchezza di linee geometriche che, pur preludendo alla pittura contemporanea, conservano la chiarezza necessaria per poter capire al primo sguardo ciò che il simbolo vuol rappresentare; i Pastelli raffiguranti Gesù e Pilato, Gesù e le Pie Donne, Gesù e il Cireneo, che lasciano ad ogni figura la possibilità di parlare un proprio linguaggio di tristezza, meraviglia, umiltà, maestà, senza che il complesso venga a perdere della grandiosità tradotta dal linguaggio evangelico; i Mosaici della Natività e del Buon Pastore che, attraverso la sobrietà delle linee e dei colori, rivelano quell’alone di mistero [...]; i Bozzetti raffiguranti Cristo e i momenti della Via Crucis e s. Francesco, che, forse, più degli altri lavori rivelano l’animo dell’artista che rivive ed interpreta momenti ricchi di misticismo e sofferenza [...].

- ’Sergio

Sulle ormai distrutte decorazioni nel Palazzo della Provincia di Terni:


[...] I grandi. Ecco i cardini della pittura modernissima di Angelucci, il quale sa fare del nuovo senza bizzarrie, sa riprendere con tono moderno i secolari motivi della pittura italiana, sa con pacata attenzione iniziare la sua opera laddove la tradizione finisce….La sua forza di espressione è la figura intesa come simbolo. E’ rappresentazione semplice, nuda, scarnaâ€.

- ’Pier

“[...] Tanto Angelucci è umanista nel ripristino del classico, quanto Sironi è nietzscheano lucido e amaro, compreso del senso della decadenza che è il senso del nichilismo della società moderna, tanto l’uno si aggrappa con fedeltà ai valori perenni dell’arte e della vita, tanto l’altro…sarà un cronista, magari suo malgrado, feroce e disincantato della realtà e del regime. Nel pittore reatino troviamo la forza di inventare un linguaggio che recupera la forma, [...] l’analisi di volumi e stesure cromatiche piatte che gli permettono di fondere in una nuova unità classicismo ed arcaismo, futurismo e realismo, ma la sua sintesi è serena, quasi olimpica se paragonata alla ruvidezza, alla scabrosità… del più tragico dei pittori del Novecento italiano [...]â€

- ’Domenico

Sulle figurazioni nel Palazzo dell’Agricoltura a Roma:


[...]Si tratta di due dipinti di notevoli dimensioni in cui, con l’uso delle semplici terre, il nostro eccellente artista ha raffigurato scene di vita agreste[...]Angelucci da quel poeta sensibile che è, da quell’uomo di profonda cultura che è sempre stato, non ha mai aderito alle mode, non ha mai fatto parte di alcun clan, non ha mai indugiato sui facili mercati dell’imitazione di scuole e di indirizzi. Non ha mai concepito come mezzo di polemica, ma, al contrario, ha sempre creduto che ogni opera d’arte, quando sia compiutamente tale, rechi in sé naturalmente i germi della polemica e, addirittura, della rivoluzione.
Tale atteggiamento,oltre a confermare, ove ce ne fosse bisogno, la serietà d’intenti di Angelucci uomo e pittore, sottolinea la sua personalità e ne rileva i pregi innumerevoli che gli hanno permesso di offrire ai contemporanei la visione di un’opera di grande interesse artistico[...].
Quanti hanno seguito la sua arte[...] non potranno non riconoscere in questo felice racconto pastorale tutti i caratteri propri del pittore sabino[...]. Se la padronanza del linguaggio, l’incisività del segno, la pastosità delle tinte, la dolce fusione dei toni hanno conferito ai dipinti una perfezione plastica e cromatica non comune, il senso d’umile contemplazione con il quale egli si è accinto a celebrare il lavoro degli agricoltori, penetrando e descrivendone l’anima ancor prima del gesto, gli ha consentito di fissare in momenti di estrema bellezza questo che può essere definito un autentico poema bucolico[...]. Da una parte i lavori dei campi , dall’altra l’opera dei boscaioli e dei pastori, tra pascoli erbosi, foreste e greggi transumanti.
I colori bruni, ombrosi, autunnali, della prima composizione, si fanno più chiari, luminosi nella seconda[...]. E’ arte vera, [...] è poesia [...]. Se non avessimo sempre creduto in Angelucci pittore, i dipinti del Ministero dell’Agricoltura e Foreste sarebbero più che sufficienti ad indicarcelo come uno tra i più significativi artisti della pittura contemporanea.
noto al pubblico delle mostre, non sè stato invitato a Venezia, non è stato esaltato dai crittci di occasione, ma l’opera è là e parla con una voce nobile ed alta che più oltre al tempo resiste.

- Luciano Chitarrini da "Sabina" - Anno I - num. 2 - Agosto

[...] Nella vasta figurazione le scene non sono suddivise le une dalle altre, ma dispiegate in un racconto continuo, e illustrano i vari aspetti della vita contadina sia nei momenti di lavoro che in quelli della vita familiare. L’assenza di un punto di fuga unico, determina una molteplicità delle possibilità visive, evitando di privilegiare un argomento particolare a scapito di altri tale effetto, insieme alla pacata sinfonia dei colori bassi e terrosi, induce ad un’idea né idillica né tragica della vita contadina, ma semplicemente serena e cosciente della pienezza della propria esistenza.

- ”Roberta

[...] Un rinfrancante religioso richiamo alle origini e un invito a ritrovare, alle sorgenti, l’anima profonda dell’operare umano nella sua intima armonia con la natura.
La pacatezza dei volti, dei gesti, delle cose, sembra essersi posata anche sul colore mite e quasi silenzioso.
A destra di chi entra un ampio scenario alpestre: in un angolo, come le rocce che alte e ferme sulla terra guardano lontano, sta lo sguardo distaccato e distante, la patriarcale saggezza del vecchio pastore; d’intorno la virgiliana serenità delle greggi, i “dolci rumoriâ€, e l’eco della caccia e dei taglialegna nell’eterno concedersi della natura alla fecondatrice fatica dell’uomo.
A sinistra il concludersi di una laboriosa giornata: la scena delle donne alla fonte, del ritorno ai figli e alla casa, della preparazione al riposo, è come tutta sospesa nella misteriosa aspettazione che sta tra cielo e terra, che pervade gli uomini e i monti, gli alberi, gli animali, nel lento spegnersi di un pomeriggio autunnale.
L’antica, eterna unione tra gli uomini e la natura, tra il divino e il terreno, il vincolo indistruttibile tra lavoro e pace, tra operosità e serenità, scendono da queste pareti e creano l’animus di chi viene in questa sala[...].

- Domenico Rainesi - Da "La nuova sede della Direzione Generale dell’Economia Montana e delle Foreste" - Roma, 11/10/1955

Nel 1954 il ministero dell’Agricoltura e delle Foreste, in occasione del completamento del fabbricato dell’Azienda di Stato Foreste Demaniali, predispose l’esecuzione di opere di abbellimento previste dalla legge del 29/07/1949 n° 717.
Il Consiglio di Amministrazione dell’Azienda incaricò il Professore Angelucci di presentare i bozzetti illustranti il tema “L’Agricoltura e le Foreste†e, trovandoli meritevoli di essere accettati, affidò al pittore l’esecuzione dell’opera.
La pregevole decorazione “Vita contadina†lo impegnò fino al 10/06/1956.
Nella Sala delle Riunioni del funzionale palazzo progettato dall’ingegnere A. Camaiti, l’artista rappresentò la suggestiva vita nei campi, nei monti e nella serenità pastorale.
Spicca nella composizione il disegnatore analitico che non dimentica di guardare al Quattrocento. Il lavoro dei contadini, l’aratura sono contemplati qui come una sorta di religioso fervore. Le figure sono immerse in una sospesa atmosfera.

- Giardi Roberta dalla Tesi di laurea "Arduino Angelucci pittore e decoratore"

Critica generale


Chi, come me, ha avuto ed ha il piacere e il privilegio di essere ammesso nella gelosa intimità dello studio di un uomo così schivo di notorietà, [...] chi ha avuto ed ha la fortuna e la gioia di poter seguire, giorno per giorno, le fasi di creazione d’una tra le molte opere dovute alla sua attività feconda, sa che, tanto nell’ abbozzo preparatorio, nell’ impeccabile successivo disegno e nella ricerca cromatica di un dipinto a olio o tempera, di piccole o medie proporzioni, quanto nella più complessa preparazione grafica e nella ponderata scelta delle armonie e dei contrappunti che si possono ottenere dalla sintassi compositiva e dai colori per un vasto ciclo di pitture murali, Angelucci dedica ed abbandona tutto se stesso alla soluzione dei problemi che assorbono la sua fantasia.
È anche aggredito e afferrato da un’ansia carica di sofferenza e tormentata da dubbi, da una passione densa di rovello e questo suo stato d’animo lo spinge a fare e disfare, con una pazienza ed una perseveranza instancabili, con una testarda ed indomita volontà, tese ed impegnate fino al conseguimento di quei risultati che, appagandolo, dopo una lunga lotta combattuta per vincere l’assillante scontentezza che, in lui, è sempre in vigile agguato, coincidono con la felice conclusione del processo creativo.
[...] Conoscevo il contesto decorativo affrescato da Angelucci nella saletta che, allora, era adibita ad anticamera degli uffici dell’Amministrazione Provinciale, nel bel Palazzo Vincentini destinato a sede della Prefettura di Rieti.
Ma fu solo quando ho potuto esaminare le fotografie del vasto affresco da lui dipinto sul soffitto dell’Aula Magna all’Università di Palermo e, soprattutto, allorchè ho avuto dinanzi il grande suo saggio di affresco, presentato alla commissione giudicatrice, [...] che ho provato [...] un istintivo senso di rispetto per quel dipinto rivelante eccezionali capacità di eseguire belle ed imponenti pitture a buon fresco, che già collocavano Arduino Angelucci, allora trentaquattrenne, nella sparuta schiera di artisti contemporanei degni di essere considerati i legittimi eredi della splendida tradizione[...]. Né Angelucci si è contentato di conquistare le solidissime capacità di pittore a buon fresco. La sua curiosità insaziabile di ricerca e di sperimentazione ed una ammirazione per la pittura paleocristiana, protoromanica e romanica, che in lui non è frutto di arido feticismo, ma è nata spontanea, come esigenza ancestrale del suo spirito, lo hanno avviato anche ad impadronirsi delle complesse tecniche musive, per mettersi in grado di predisporre, con perizia e con la pazienza che quella tecnica esige, i cartoni destinati ad essere eseguiti dalle maestranze specializzate[...]. Conseguenza di una ricca fantasia, [...] sotto le apparenze di un ponderato e cauto ragionamento, che in Angelucci si rivela come indispensabile elemento complementare nel processo mentale che presiede all’estrinsecarsi del fenomeno creativo, la innata versatilità gli suggerisce quelle composizioni “decorative”, pensate e concretate con originale ricerca e associazione di immagini simboliche e di astrazioni geometriche, nate sotto il segno di una modernità concettuale, senza sforzo, e [...] coerenti nei confronti di opere liberamente ispirate, e in modi personalissimi, a momenti della storia della pittura più congeniali al nostro artista[...].

- Cesare Verani - dal discorso tenuto in occasione della presentazione del catalogo monografico "Arduino Angelucci" nel 50° anniversario della istituzione della Provincia di Rieti

[...] Nelle opere parietali Angelucci traspone il suo concetto di spazialità architettonica in una spazialità pura; in lui sempre la decorazione pittorica si adegua ai dettami dell’ambiente, nasce dopo uno studio approfondito dell’ambiente in cui la produzione va inserita con soluzioni che tentano di esaltare lo spazio interno con una apertura a visioni esterne [...] come i muri e le pareti.
[...] Le caratteristiche [...] sono quelle di un racconto multiplo, di un assemblaggio di scene per dire di più e più cose in un’unica produzione. [...] Nelle opere pubbliche il cromatismo è sempre messo al servizio della spazialità architettonica, quindi della funzione prospettica; è un cromatismo tenue che non vuole diventare protagonista, che tenta di esaltare e rafforzare il disegno, quindi la struttura compositiva. E’ ben diverso da quello caldo, tonale, talvolta vaporoso della sua pittura da cavalletto dove tuttavia il gusto e l’interesse per l’architettura ritornano, ma in maniera diversa, cioè nella disposizione degli oggetti, che in una serie di dipinti risente delle esperienze astratte che nel dopoguerra si sono imposte in Italia.

- Giorgio Di Genova - nel 1979 Ordinario di Storia dell’Arte presso l’Università di Catania - dalla conferenza tenuta in occasione della presentazione del catalogo monografico "Arduino Angelucci", nel 50° anniversario dell’istituzione della Provincia di Rieti

Negli anni di magra si pensa agli anni dell’abbondanza [...] ed è proprio questo, quindi, il momento delle riscoperte di artisti preparati ed esigenti nel loro mestiere [...]. Vorremmo qui ricordare nel primo anno della sua scomparsa il pittore Arduino Angelucci [...] autore di grandi affreschi, mosaici e tempere murali, un artista schivo tenutosi tenacemente fuori da qualsiasi competizione mercantile: apparteneva a quella schiera di artisti che credevano nella pittura come ad un alto ideale [...]. Robusto e preciso disegnatore, Angelucci con una sua grazia e forza tutte particolari e personalissime, sembra muoversi, per l’affresco e il mosaico nella suggestione di un altro grande dimenticato (ma ora già sulla scia luminosa della valutazione piena), Ferruccio Ferrazzi, ispirandosi a quel mondo classico e mitico, agreste e aulico, volto ad esaltare gli alti valori della storia patria.

- ”Franco

Il suo narrare storie sulle pareti di edifici pubblici o di dimore signorili [...]. Guarda l’antico con ammirante umiltà, riuscendo avveduto nel costrutto e misurato nel colore, senza festevolezze eccessive, anzi col proposito di tendere all’unità del monocromato, operando sottilmente per varianti placide di toni, e luci diffuse ma sommesse, e chiaroscuri quanti bastano a un calmo rilievo delle figure, degli animali, delle piante, nessuna delle quali abbia a prevalere sulle altre, sicchè il racconto si svolga secondo un ritmo sereno di ininterrotta ornatività coltivata e civile [...].

- ’Fortunato

Arduino Angelucci ultimo epigono di una generazione di pittori affreschisti di valore internazionale, compie ottanta anni. Un’attività, la sua, svolta per oltre sessant’anni che l’ha visto operare presso le sedi di importanti palazzi pubblici e privati dove lascia prestigio se testimonianze della sua produzione artistica. Il palazzo della Prefettura di Rieti, l’aula magna dell’ Università di Palermo, la sala delle riunioni del palazzo delle foreste di Roma, la sala consiliare della Cassa di Risparmio di Rieti sono alcuni edifici dove è possibile ammirare le complesse e armoniche composizioni di Arduino Angelucci. Opere che hanno richiesto anni di intenso e meticoloso lavoro svolto in quotidiana solitudine e artigianale modestia come gli antichi maestri del Quattrocento.
Le pareti del suo studio di Rieti erano la “bottega” dove l’artista si chiudeva a stilare bozzetti e cartoni preparatori in quella visione dell’assieme compositivo e della tematica esornativa che di volta in volta ricostruiva scene mitologiche o naturalistiche i cui richiami alla classicità del Quattrocento formano il tessuto connettivo della sua ricerca. Valori di una tradizione culturale che già attorno al 1920 aveva interessato pittori famosi quali Carrà, Morandi, De Chirico, Soffici che nel risveglio dei “Valori plastici” avevano avuto la comune fonte di ispirazione. Angelucci dunque parte da queste premesse per sviluppare in senso iconico e corale l’idealizzazione della realtà della sua terra con una narrazione epica[...]
[...]Una pittura questa di Angelucci che, partendo dal profondo di una cultura umanistica, giunge a cogliere nel classico traslato di forme e colori le recondite aspirazioni dell’uomo moderno in maniera trascendentale e illuministica. Valori insiti nel civile progresso d’ogni tempo la cui proiezione interiore si salda con la cultura del passato.

- ”Giulio

Nelle opere parietali “Angelucci traspone il suo concetto di spazialità architettonica in una spazialità pura; in lui sempre la decorazione pittorica si adegua ai dettami dell’ambiente, nasce dopo uno studio approfondito dell’ambiente in cui la produzione va inserita con soluzioni che tentano di esaltare lo spazio interno con una apertura a visioni esterne [...] come i muri e le pareti. [...] Le caratteristiche [...] sono quelle di un racconto multiplo, di un assemblaggio di scene per dire di più e più cose in un’unica produzione. [...] Nelle opere pubbliche il cromatismo è sempre messo al servizio della spazialità architettonica, quindi della funzione prospettica; è un cromatismo tenue che non vuole diventare protagonista, che tenta di esaltare e rafforzare il disegno, quindi la struttura compositiva. E’ ben diverso da quello caldo, tonale, talvolta vaporoso della sua pittura da cavalletto dove tuttavia il gusto e l’interesse per l’architettura ritornano, ma in maniera diversa, cioè nella disposizione degli oggetti, che in una serie di dipinti risente delle esperienze astratte che nel dopoguerra si sono imposte in Italia.

- ”Prof.

Come artista la tenacia, quasi contadina, di una ricerca espressiva, ricca di sensazioni, idee, affetti per il mondo che lo circonda. Come uomo una sensazione di grande serenità e saggezza unite ad una robusta compostezza. Le grandi superfici dipinte a Rieti, Roma e Palermo forniscono prove eloquenti del lungo sentiero della sua attività artistica.
Sfogliando il volume, che raccoglie i momenti più significativi della sua pittura, è possibile seguirne l’evoluzione attraverso la costante ricerca di una strenua purezza espressiva, attenta ai grandi movimenti dell’arte contemporanea che Angelucci rielabora in chiave personale[...].
Dopo il 1950 l’impasto cromatico (diventa) denso e corposo[...]; il disegno, molto incisivo, sembra riallacciarsi alla grafica rinascimentale di Durer.

- ’Marisa

[...] Angelucci nella sua ricerca tonale, cromatica, contenutistica è sempre se stesso; del passato studia quei valori validi e li assimila fondendoli, in una sintesi con la sua sensibilità moderna. L’arte per lui è lavoro serio, costante di ricerca e studio, attraverso il quale cerca di esprimere il suo pathos, patentemente lirico, plastico e musicale. Senti che ha trovato l’equilibrio della vita, che ha scavato nell’essenza dell’uomo e della natura, quella che esprime l’eternità dello spirito e dell’arte [...].

- Filippo Mazzetti per il 60° anno dell’artista

[...] tanto pittore da poter essere criticamente considerato come l’unico pittore reatino che abbia realizzato e lasciato un genere, uno stile, un qualcosa di inconfondibile in quanto strettamente personale [...]. Una pittura intesa come razionalità, come descrizione di un reale inteso nella sua essenzialità. Nettezza anatomica delle forme e quindi forme tutte composte in se stesse e di facile lettura. Qualche traccia sfumata di quel certo Futurismo†sintetico e costruttivo che caratterizzerà la pittura di Mario Sironi? Anche, pur se Angelucci avvertiva di essere assai più vicino al modo espressivo di Ferrazzi, pittore da lui altamente stimato [...].

- ”Ajmone

[...] tutta la sua attività, dalle prime opere alle ultime in ordine di tempo, obbedisce ad una intima sostanziale coerenza dell’artista a quei principi ideali che ne hanno rigorosamente salvaguardato l’unità stilistica [...]. Fedele continuatore della tradizione figurativa, è certamente un impressionista, come testimonia tutta la sua opera, alla quale non è estranea una certa influenza rinascimentale. Essa è ancora più sensibile negli affreschi, da quello che decora la volta dell’Aula Magna dell’Università di Palermo, a quello del Salone delle Riunioni nel Palazzo delle Foreste in Roma, dalle figurazioni pittoriche nella Villa Cecilia Pia sulla via Appia Antica, a quelle realizzate a Rieti nel Palazzo del Governo. Nei grandi cartoni originali è possibile constatare come le figure di questi affreschi siano state concepite e realizzate secondo un attento studio del particolare anatomico ed un amore all’armonia delle forme e delle proporzioni che si converte in un sentimento plastico di elegante vigore dell’insieme.
In questa mostra antologica figurano anche i significativi bozzetti per affrescare la sala consiliare della Cassa di Risparmio di Rieti, ultima, ma non meno importante fatica dell’artista. Angelucci ha bisogno di una parete, di una volta, di grande spazio, insomma, per trovarsi a suo agio. Avverte quasi l’istintiva esigenza di slargare i cieli alla sua arte [...].

- ”Mario

Fu intorno agli anni Venti che la vocazione di Angelucci andò indirizzandosi verso le “cose†dell’arte [...]. Dopo un periodo di riflessione nella quiete della sua Rieti, venne la sua prima opera di grande impegno che ne attestava la conseguita maturità: il grande affresco sulla volta dell’Aula Magna dell’Università di Palermo [...]. Se nei ritratti, nelle composizioni di oggetti, nei paesaggi si proponeva problemi di forma e di armonie costruttive e cromatiche, nei dipinti murali e nei mosaici si era ispirato alle opere della pittura primitiva e rinascimentale rivivendole, nell’intimo del suo spirito permeato di classicità, in una “visione†attuale assolutamente personale che si estrinseca nella sapienza dei ritmi compositivi, dei valori plastici, del colorito nitido e puro. [...] sempre lui con la sua caparbia fede certosina nell’antico mestiere umanistico della pittura. Una fiaccola di civiltà dalla quale, in piena avventura tecnologica nella quale siamo trascinati, non vorremmo separarci [...]. Egli ha fissato sul piano dell’espressione e non di sola passione, un mondo di originale sentimento della vita, portando a chiarezza un’interiorità intensa,ricca, piena, dialogata, di un’energia espansiva che domina e trasporta. Le sue grandi opere affrescate, nell’insieme e nella singolarità dei soggetti sono un esempio di gusto estremo,contenutezza, senso delicato delle relazioni. Senza rinunziare a nulla che fosse essenziale alla sua espressione, egli l’ha meditate (come sempre tutti i veri artisti hanno saputo fare) con lo spazio, l’ambiente, le visuali entro i quali le opere dovevano essere incluse. [...]

- ”Filippo

[...] La sua decorazione a fresco più importante per quanto attiene gli anni ’30 è quella della volta dell’Aula Magna dell’Università di Palermo, che lo impegnò dal 1935 al 1938 e che fu seguita nel 1939 dalle figurazioni pittoriche nel Salone d’Onore del Palazzo del Governo di Terni.
Per l’affresco di Palermo raffigurante “Artisti,poeti e scienziati alla corte di Federico IIâ€, gli tornarono molto utili le nozioni di prospettiva apprese nel corso di Architettura. La decorazione che misura m. 5,25×20, è quadripartita: Vi predomina uno spirito antico romano, più in linea con i richiami imperiali del Fascismo che non con la realtà medievale cui l’opera si ispira. Anche se qua e là non manca di affiorare un’aura da Novecento italiano, tuttavia è il Quattrocento cui maggiormente attinge Angelucci, il quale ad una certa assolutezza delle forme, forse esemplata sulle geometriche stilizzazioni di Piero della Francesca, accomuna un disegno eroicizzante alla Andrea del Castagno. L’ottica classica, poi, viene sottolineata dallo scavo degli occhi che fanno somigliare le figurazioni a statue appunto antico – romane, appena corrette da un modo di colorire che le leviga e le assolutizza in direzione metafisica.
Sembrerebbe che Angelucci nel lavorare a fresco voglia privilegiare, oltre alla struttura architettonica della composizione, il disegno, rinunciando in certa misura al suo istinto di colorista, che negli oli invece diviene il fine cercato, anche per una maggiore pregnanza degli effetti pittorici, come dimostrano alcune nature morte eseguite nel ’40.

- ”Giorgio

La figura dell’artista Angelucci ha senz’altro segnato la città e la fama di Rieti per le varie ricche opere da lui lasciate un po’ dovunque: famose ed imitate quelle che illustrano l’Università palermitana dove riesce a fondere le linee di un corretto e non astratto classicismo agli aspetti formali moderni. Ha operato soprattutto in periodo fascista e quindi dell’egemonia dell’arte littoria, ma senza concedere nulla al richiamo degli estetismi dell’epoca, sapendo conservare un proprio rigore critico che era soprattutto profondo rispetto morale per la realtà in sé ed in quanto contenitore della persona; ha operato in epoca democratica e quindi nelle mille scuole di ricerca, ma senza concedere nulla ai richiami allettanti degli avanguardismi né rinunciando ad alcunché dei suoi valori estetico formali appartenuti ad un ieri ormai non più, ma che anch’esso aveva saputo dare estro e creatività aldilà delle piaggerie.
La forza morale di Angelucci (autore di un bellissimo libro di riflessioni autobiografiche: “Soliloquioâ€) è risieduta soprattutto in tale suo rigore morale che è stato una profonda dimostrazione di rispetto per il Se stesso artista [...].

- ”Ajmone

[...] Ho apprezzato moltissimo la pubblicazione e sarei favorevole a collaborare con lei per far conoscere meglio l’eminente artista. Mi consideri a sua disposizione [...].

- Claudio Strinati - Soprintendente Polo Archeologico e Artististico del Lazio – 15/04/2009